Parrocchia
Parrocchia - Carità
La parola "carità" si associa all'idea di assistenzialismo, si assimila la carità cristiana all'impegno verso i bisognosi. Alla luce della Parola di Dio, questa interpretazione si rivela errata. La carità teologale non è un'opera in favore dei poveri. L'Apostolo Giovanni ci dice con chiarezza in cosa consiste la carità: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi". Ciò significa che per intendere la carità teologale non bisogna pensare tanto all'amore che dona, quanto all'amore che riceve. In sostanza, la carità teologale ha la sua sorgente nel percepire di essere amati da Dio. Di conseguenza, la nostra capacità di amare non deriva dalla decisione di amare gli altri, ma dalla gioia di sentirsi amati da Dio. Questa è la condizione basilare perché l'amore non si arrenda dinanzi all'ingratitudine o dinanzi a qualunque mancanza di amabilità. Chi percepisce di essere amato da Dio si sente già pieno di questo amore e non ha bisogno di raccogliere consensi intorno a sé. Giovanni approda all'unificazione dei due amori: da un lato ci si sente amati da Dio e si diventa così capaci di amare il prossimo; dall'altro l'amore del prossimo è inseparabile dall'amare Dio. L'esclusivismo poi è una caratteristica normale dell'amore umano, ma esce fuori dal quadro della nuova creazione. L'insegnamento di Cristo indica chiaramente al discepolo la meta di un amore capace di superare ogni genere di confine. Il superamento dell'esclusivismo culmina nella disposizione di benevolenza verso i propri nemici. Un'altra manifestazione dell'amore umano, bisognoso di essere illuminato dalla Grazia, è la tendenza a strumentalizzare il prossimo, ossia ad amare gli altri a motivo di se stessi e non a motivo della loro autentica felicità. Cristo ha corretto questa tendenza molto umana mediante l'icona del Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli: "Se io, Maestro e Signore, ho lavato i vostri piedi…". Il Maestro non usa gli altri per ottenere benefici per sé, ma vive in funzione della felicità degli altri. Questa maniera di amare riempie così tanto la propria interiorità che a un certo momento sembra meschino fermarsi a pensare a se stessi e ai propri eventuali bisogni. Il Cristo ha amato così e ha esplicitamente chiesto ai suoi discepoli di fare altrettanto: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come Io vi ho amato". Tra tutte le altre cose, Egli li rimprovera di avere troppe aspettative: fanno l'elemosina e si aspettano la lode degli uomini. Cristo contrappone uno stile di vita fondato sulla gratuità: "Se amate quelli che vi amano, che merito ne avete?". Il frutto più bello dell'amore teologale è l'ansia della evangelizzazione. Il primo pensiero deve perciò andare all'annuncio del Vangelo, primissima ed essenziale carità. La responsabilità dei credenti nei confronti del mondo è infatti proprio questa: fare uscire Cristo dalla Chiesa verso il mondo. L'evangelizzazione non si fa con le parole, ma con la propria vita trasformata. Solo chi cammina cambia, si trasforma e diventa credibile davanti alla Chiesa e davanti al mondo.